Prometheus

(Prometheus)Locandina

Regia di Ridley Scott

con Noomi Rapace (Elizabeth Shaw), Michael Fassbender (David), Charlize Theron (Meredith Vickers), Idris Elba (Capitano Janek), Guy Pearce (Peter Weyland), Logan Marshall-Green (Charlie Holloway), Sean Harris (Fifield), Rafe Spall (Millburn), Emun Elliott (Chance), Benedict Wong (Ravel), Kate Dickie (Ford), Ian Whyte (Ingegnere sopravvissuto).

PAESE: USA 2012
GENERE: Fantascienza
DURATA: 119’

Nel 2089, in Scozia, l’equipe scientifica della dottoressa Shaw trova dei primitivi graffiti che sembrano suggerire l’origine della vita su un pianeta assai distante dalla Terra. Quattro anni dopo, grazie ai finanziamenti del vecchio magnate Weyland, parte a bordo della Prometheus per scoprire la verità sulla nostra creazione. Ma, una volta giunti sul pianeta, la missione prenderà una piega decisamente diversa da quella che ci si aspettava…

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Atteso, attesissimo (Scott ne parlò già nel 1979) sequel – o meglio, prequel – della saga di Alien, terminata 15 anni prima col quarto capitolo Alien – La clonazione. Scott, regista del primo film, si affida ad una precisa sceneggiatura di Jon Spahits e Damon Lindelof e gira un prodotto praticamente autonomo, più vicino a Blade Runner (ogni essere, umano o meno, vuole incontrare il proprio creatore e pretende da esso delle risposte) che alla saga “aliena” – cui comunque si aggancia in maniera magari non indispensabile ma azzeccatissima nell’ultima mezz’ora – più simile nell’azione all’Aliens di Cameron che al capostipite. Il risultato è un grande film di fantascienza, forse uno dei migliori dell’ultimo decennio. Un triste decennio, in cui il genere che per eccellenza rifletteva sul bisogno umano di arrivare alle stelle (e quindi a Dio) è diventato mero tripudio di effetti speciali, privo di quegli elementi tipici che l’avevano reso grande come l’eleganza visiva, la coerenza narrativa, la magnificenza immaginifica. Questo Prometheus (dal nome della figura mitologica che voleva avvicinare l’uomo agli dei che lo avevano creato) è un film di fantascienza alla “vecchia maniera”, e lo è per diverse ragioni: nello stile, elegante e sobrio, appoggiato su un montaggio ritmato ma mai forsennato, dentro agli stereotipi hollywoodiani ma orgogliosamente classico (nel senso migliore del termine); nel messaggio, che punta ai massimi sistemi senza mai diventare spocchioso e, soprattutto, aggiungendo qualcosa all’eterno porsi domande dell’uomo; nella “poetica della visione” che gli soggiace, una poetica che impiega massicce dosi di effetti speciali, magari già visti (anche se il prologo sulla cascata mette i brividi per il suo realismo) ma mai fini a se stessi, anzi spesso usati come sostegno ad un estro visionario raro, ancora capace di creare immagini dal fortissimo potere suggestivo; nelle scelte narrative, tra le quali ancora una volta quella di mettere una donna al centro della storia.

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A 75 anni suonati, Scott si dimostra ancora autore di altissimo livello (in barba a parecchi giovani che si sono cimentati nel genere ultimamente), in grado di concepire un film che non è soltanto bello, bensì anche affascinante, teso, pauroso. E che fa riflettere. Suspense da manuale, caratterizzazioni superbe, azione coreografata in modo ineccepibile. Fantascienza pura, intelligente ed evocativa come quella di Wells, Asimov e Kubrick (guarda caso, citato in ben più di una sequenza). Nonostante la figura dell’androide abbia ormai 85 anni di vita cinematografica (il primo robot umanoide apparve in Metropolis, 1927), Scott riesce ancora a dire qualcosa di nuovo su di essa, come dimostra la battuta del robot David sul perché indossi la tuta spaziale nonostante non ne abbia alcun bisogno. Pubblico e critica in coro l’hanno demolito senza riserve. Motivo? Forse perché è un film orgogliosamente demodé, lontano dai canoni cui ci siamo abituati negli ultimi anni. Resta da chiedersi se un film come Blade Runner, uscito oggi, sarebbe ancora apprezzato dalla massa.

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Su internet fior di giovani critici valutano come un errore il fatto che la tecnologia che si vede in Prometheus sia più sviluppata che in Alien, ambientato secoli dopo. Sbagliano! In Aliens la tecnologia è già in via di disfacimento, come se raggiunto il picco creativo essa tornasse immancabilmente ad un livello primordiale. Abile nel restare ambiguo nell’ideologia (“se ci hanno creati loro, Dio non esiste” – “e chi ha creato loro allora?”), rimane un film pessimista, e forse anche per questa ragione non è piaciuto troppo. Peccato, perché è superbo, un baluardo nel desolante panorama della sci fi odierna. Fotografia del grandissimo Dariusz Wolski, funzionali musiche di Marc Streitenfeld. Il capitano Janek (Idris Elba) merita un posto d’onore nella galleria dei “personaggissimi” della saga, vicino al caporale Hick (Aliens – Scontro finale) e al furfante Johner (Alien – La clonazione). Da vedere.

Voto

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