Strade perdute – Lost Highway

(Lost Highway)lost-highway

Regia di David Lynch

con Bill Pullman (Fred Madison), Patricia Arquette (Renee/Alice), Balthazar Getty (Pete Dayton), Robert Loggia (signor Eddy), Robert Blake (uomo misterioso), Jack Nance (Phil), Richard Pryor (Arnie), Michael Massee (Andy), Gary Busey (signor Dayton), Natasha Gregson Wagner (Sheila), Henry Rollins (guardia carceraria).

PAESE: USA 1997
GENERE: Thriller
DURATA: 135′

Il sassofonista Fred Madison è convinto che la bella moglie Renee lo tradisca. Quando spunta una videocassetta che lo vede vicino al corpo smembrato di Renee, la polizia lo arresta con l’accusa di uxoricidio. Peccato che, dopo qualche giorno, il carcerato si trasformi nel mite meccanico Pete, che tornato a casa ha una relazione con Alice (identica a Renee ma bionda), pupa di un gangster che non prenderà bene la cosa…

Riassumere la trama di questo settimo film di Lynch, che lo ha scritto con lo scrittore e poeta Barry Gifford (già responsabile letterario di Cuore Selvaggio), è cosa assai ardua e, probabilmente, inutile: ciò che conta, più di un intreccio indecifrabile in cui la realtà sembra avvolgersi su se stessa come il celebre nastro di Möbius (e al cui riguardo Lynch non si è mai sbottonato, generando l’infinito susseguirsi delle più disparate teorie) è il modo geniale in cui il regista prende lo spunto di un noir qualsiasi e lo proietta in un incubo surreal grottesco in cui vengono scardinati TUTTI i dettami del racconto classico, compresa – primo caso nella storia del cinema – l’identità del protagonista. Nonostante alcune cadute di tono (l’erotismo patinato in stile Basic Instinct, i siparietti nonsense un po’ troppo fini a se stessi) e una parte centrale – quella con Pete – deboluccia, questo folle, inquietante, allucinato thriller rimane una tappa imprescindibile per i fan del regista, anche perché anticipa diversi temi (la disgregazione dell’identità, l’impossibilità di distinguere il vero dal sogno, il caos/degrado metropolitano) che diverranno assi portanti del suo cinema successivo, da Mulholland Drive a INLAND EMPIRE. La prima parte è uno dei pezzi di cinema più paurosi mai partoriti dalla mente del regista. Oltre all’ottimo cast, si fanno notare le funzionali musiche di Angelo Badalamenti, Trent Reznor (Nine Inch Nails), Marylin Manson (che appare anche nel ruolo di una pornostar) e la sfaccettata fotografia di Peter Deming. Ultimo film di Nance, attore feticcio del regista morto in circostanze misteriose nel 1996. L’inquadratura della strada di notte, entrata nell’immaginario collettivo, è presa in prestito da Blood Simple dei Fratelli Coen. “Si può anche non salire sul film, cioè respingerlo, ma è difficile sottrarsi al suo fascino inquietante, negare la fosca bellezza delle immagini, dimenticare la presenza minacciosa dell’uomo misterioso” (Morandini).

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