Le meraviglie

Regia di Alice Rohrwacher

con Maria Alexandra Lungu (Gelsomina), Sam Louwyck (Wolfgang), Alba Rohrwacher (Angelica), Sabine Timoteo (Cocò), Agnese Graziani (Marinella), Monica Bellucci (Milly Catena), Luis Huilca (Martin), André Hennicke (Adrian), Eva Lea Pace Morrow (Caterina), Maris Stella Morrow (Luna), Carlo Tarmati (Carlo Portarena), Margarete Tiesel (Rappresentante della Seconda Vita).

PAESE: Italia, Germania, Svizzera 2014
GENERE: Drammatico
DURATA: 110′

In un casale della campagna umbra vive una famiglia di apicoltori, padre, madre, quattro figlie e un’amica. La vita avanza lenta, semplice, scandita dai tempi delle api e regolata dai comandamenti del severo capofamiglia, che fa di tutto per mantenere intatto un mondo ancorato ai valori della terra. L’incontro con un ragazzino che ha avuto problemi con la giustizia e quello con la presentatrice di una TV locale colpiscono la primogenita Gelsomina, che per la prima volta s’accorge dell’esistenza del mondo esterno.

Secondo film della Rohrwacher, anch’esso presentato (e premiato) a Cannes come il precedente Corpo Celeste (2011). Si usa dire che l’opera numero due, nella carriera di un artista, sia sempre la più complessa. Alice ha vinto la scommessa con un film delicato e lontano dalle mode che racconta la complessità di un rapporto padre/figlia, in cui il primo cerca con ogni mezzo di tenere la seconda ancorata a certi valori che vanno man mano scomparendo, finendo però con l’asfissiarla e spingerla ad una (metaforica) fuga. Fortemente autobiografico, il film sceglie uno stile ruvido ma estremamente vivo, capace di alternare riprese semi-documentaristiche a piccoli poemi visivi che lasciano il segno (il sogno con le ombre dentro la caverna), e in cui la macchina da presa – sempre tenuta in mano e ad altezza di persona – fiata sul collo della protagonista svelandone gli stati d’animo senza bisogno che parli (e qui il merito è anche della Lungu, magnifica). Senza mai diventare un film esplicitamente politico, dice molto sul mondo – e sulla società – in cui viviamo: si veda il trashissimo concorso cui partecipa la famiglia, peraltro seguito da un momento straordinario di sincera e veritiera commozione. L’ultima parte perde qualcosa in termini di chiarezza espositiva, ma è riscattata da un finale asciutto che si conclude con uno straordinario movimento di macchina (ve ne sono molti, studiatissimi) di rara potenza simbolica. Memorabile presenza della Bellucci, finalmente ben diretta e alle prese con un personaggio nelle sue corde. Cast perfetto, espressiva fotografia naturalistica di Hélène Louvart (un’altra donna) e azzeccato commento musicale, mai invasivo, di Pietro Crucitti. Grand Prix della Giuria a Cannes. Film come questo sono importanti perché 1) dimostrano che il cinema italiano di qualità sta benone e 2) vanta più di altri la presenza di parecchi giovani autori (e autrici) da tenere d’occhio.

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